lunedì 29 aprile 2013

IL PRIMO MAGGIO (che verrà)

Appartengo ad una generazione per la quale il Primo Maggio ha sempre rappresentato un irrinunciabile  punto di riferimento ideale e umano. Un giorno speciale, insomma, in cui le lavoratrici e i lavoratori, ma insieme a loro i pensionati e gli studenti, i giovani antifascisti e i vecchi partigiani, scendevano in piazza innanzitutto per rivendicare quella che si chiamava "coscienza di classe"... Un giorno di lotta e di festa, dove si percepiva e si annusava il significato di valori che avevano nomi dal significato inequivocabile: "solidarietà", "pace", "internazionalismo", "diritti", "uguaglianza", "sciopero". Un giorno durante il quale si coglieva immediatamente un'identità e un senso di appartenenza che oggi, purtroppo, si scorgono con sempre maggiore difficoltà.

Quanti di questi simboli, infatti, sono spariti o, nella migliore delle ipotesi, si sono appannati? Eppure stime sconvolgenti segnalano una drammatica realtà economica caratterizzata da una impressionante crescita della disoccupazione; fasce di popolazione sempre più ampie sono "dentro" la soglia di povertà;  le aziende chiudono o delocalizzano (qualcuno chiama tutto questo "regole della globalizzazione"), con la conseguenza del licenziamento di lavoratori che all'improvviso si ritrovano disperati e senza prospettive; ci sono persone che  si uccidono perché non ce la fanno più a tirare avanti a causa della crisi; sempre più frequentemente vediamo gente, di ogni età e di ogni provenienza, che rovista nelle ceste dei mercati, o  nei cassonetti della spazzatura, alla ricerca di cibo o indumenti che aiutino a sopravvivere...
Non se ne parla abbastanza sui mass media se non in occasione di qualche funerale eclatante che costituisce l'ultimo epilogo dell'ennesimo dramma familiare: è in tali occasioni che un regista "furbo", della Rai o di Mediaset, inquadra immancabilmente il volto solcato dalle lacrime dei familiari in modo da assicurarsi più confortanti indici d'ascolto. Il giorno dopo si torna alla programmazione di sempre, alle subrettine e veline scosciate, ai grandi fratelli, al gossip sguaiato, agli spot commerciali, al talk show politico utile solo a mettere in mostra i soliti nani e le immancabili ballerine!

In questo tormentato scenario trovo assordante il silenzio dei sindacati, sempre più ridotti al ruolo di attori (o meglio comparse) marginali. Tutori e custodi del CAF piuttosto che rappresentanti dei diritti e delle istanze dei lavoratori. Patronati anziché presìdi dei diritti dei cittadini.
Con i ricordi vado indietro nel tempo, a quando c'erano i Lama, i Carniti, i Pizzinato, i Trentin. Oggi ci toccano i... Bonanni e gli Angeletti (non solo loro, a dire il vero) e mi sembra che a colpirci sia un flagello prima ancora che una maledizione!
Come stupirsi, perciò, se il primo maggio (anche il primo maggio) è diventato "altro"? Se ormai i cosiddetti "concertoni" hanno soppiantato le ragioni di una giornata che aveva, e avrebbe, ben altre caratteristiche e ragioni che una  sagra rocchettara?

Eppure anche questa volta i cosiddetti dirigenti sindacali saliranno, imperterriti, sul palco per rivolgere le solite parole di circostanza, e inevitabilmente saranno colpevolizzate le voci del dissenso provenienti, magari, da quegli stessi lavoratori licenziati, o in cassa integrazione, di cui parlavo prima, o da quei giovani che non trovano lavoro nonostante mille sforzi, o da quei pensionati ridotti alla fame, o da quelle donne che rivendicano (inascoltate) pari opportunità, o da quegli immigrati che ogni giorno fanno i conti con squallidi episodi di sfruttamento e razzismo, o da quei disabili che si vedono persino negato il diritto ad esistere, eccetera eccetera eccetera eccetera...
Molti di quelli che negli ultimi anni hanno contribuito a svendere le conquiste dei lavoratori si appelleranno a loro con la fantomatica promessa di un domani migliore. E così gli inventori del "lavoro in affitto" denunceranno la precarietà. Gli affossatori dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori alzeranno la voce contro gli imprenditori che licenziano. Quelli che fino a ieri sostenevano e fiancheggiavano, di fatto, i governi al potere, grideranno allo scandalo per la vicenda esodati o per la vergognosa riforma Fornero delle pensioni: si scaglieranno contro l'arroganza dei politici rivendicando la loro presunta verginità...

In quelle stesse ore, in cui le parole di un disco incantato risuoneranno nelle piazze di tante nostre città, i (cosiddetti) "capi sindacali" dimenticheranno - tra l'altro - di dire che tanti lavoratori e tante lavoratrici, del settore commerciale in primis e del terziario, saranno costretti, per paura del ricatto, a lavorare persino il primo maggio, con buona pace di quanti hanno sottoscritto, sulla loro pelle, accordi sugli straordinari ecc. E' il "nuovo" modo di vivere la realtà del lavoro.
Questi lavoratori e queste lavoratrici dovranno, per forza maggiore, accontentarsi di leggere sui giornali com'è andata...

E' solo un esempio, non è sicuramente l'ultimo... Peccato che il Primo Maggio sia diventato (anche) questo!
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domenica 28 aprile 2013

QUASI UN MESE FA

Era il 2 aprile... La festa è finita o deve ancora cominciare?

http://youtu.be/y2p2Kq9vDKo
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sabato 27 aprile 2013

25 APRILE

Ricevo e pubblico volentieri


Perché parlare del 25 aprile due giorni dopo?  Per  non cristallizzare questa ricorrenza in un archivio storico da cui estrarla solo periodicamente e darle invece il respiro e il rilievo che merita  la sua innegabile attualità.
Come non riconoscerle tale caratteristica in un momento in cui si torna a parlare a gran voce di democrazia diretta e di partecipazione? Come non soffermarsi a riflettere sul suo impegno a superare le divergenze ideologiche per creare un fronte comune efficace  nella lotta contro il potente nemico nazifascista?
Non può che lasciare perplessi il fatto che proprio chi teorizza un allargamento della base politica e un coinvolgimento dei cittadini comuni  non voglia poi riconoscere la portata di quest’evento e si abbandoni a slogan ad effetto sulla “morte del 25 aprile”, pur di contrapporsi alla “casta” dei politici che la celebrano. Forse perché la Resistenza rende  ancora tangibile la forza della lotta a un populismo autoritario, affermatosi negli anni ’20 e non tanto diverso da quello che si sta provando a mettere in piedi attualmente?

Personalmente ritengo questa ricorrenza non solo un momento di riflessione su una pagina collettiva di storia nazionale: è anche  l’occasione per sfogliare l’album di famiglia e rivedere la foto di mio padre ragazzo con il fazzoletto rosso al collo (colore pur non particolarmente amato) e il giaccone di pelliccia sulle spalle, lo sguardo fiero di chi aveva fatto una scelta di campo e viveva sulle colline del Roero scene di guerra su cui in seguito preferiva non ritornare.
Scelta, quest’ultima, dettata forse dal suo carattere schivo, lontano dalla retorica e dal protagonismo di tanti, magari schierati dalla parte opposta per tutto il ventennio e  saliti in ultimo sul carro dei vincitori.
Scelta che ammetteva talvolta  eccezioni saltuarie e lasciava trapelare racconti di rastrellamenti e di rappresaglie, scene collettive, mai individuali, che mettevano in risalto la paura e le difficoltà di un paese disorientato, stretto intorno  ai suoi giovani. 

Come priva di retorica è la mia letteratura preferita sull’argomento: quella di Fenoglio del “Partigiano Johnny  e  dei  “Ventitré giorni della città di Alba”, quella di Calvino del  “Sentiero dei nidi di ragno”. Autori che hanno raccontato la lotta partigiana facendo sentire la fame e il freddo, la sete e la fatica, la puzza e la rabbia, le difficoltà e le contraddizioni dei partigiani arrampicati sulle colline e sulle montagne, nei casolari abbandonati e nei boschi di rovi dove si sentiva “fischiare il vento e soffiare la bufera” più che cantare gioiosamente “bella ciao”.
               
                E spero di non mettere retorica nelle mie parole nel dire che oggi c’è più che mai bisogno di ricordare queste pagine di storia nazionale che vanno lette come un esempio di superamento di divisioni ideologiche al fine di coalizzare le forze dei vari schieramenti politici, ricostituitisi nella clandestinità, contro il nemico nazifascista.
                C’è più che mai bisogno di non dimenticare l’importante esempio di collaborazione tra lavoratori e combattenti  avvenuto nelle fabbriche di tante città del Settentrione dove gli operai  con azioni di sciopero, boicottaggio e resistenza hanno  messo in difficoltà i Tedeschi facendo fronte comune con i partigiani e insieme  hanno combattuto nel Nord d’Italia liberando le principali città in quell’aprile di 68 anni fa, prima ancora dell’arrivo degli Alleati.
                Cosa rimane ora di quei momenti? Già Calamandrei  solo dieci anni dopo constatava “ci si guarda intorno e si sente un che di vuoto, un che di amaro. Sono tornate tante cose comode che avevamo perduto, ma quello che di vivo, di nuovo, di giovanile, di fresco, di umano c’era allora nei cuori e nell’aria oggi non c’è più”.
                Saluto mia figlia che sta andando  in piscina dove fa l’istruttrice e le chiedo se sa chi sia “Ferruccio Parri” cui essa è dedicata. Quando spiego che si trattava di una delle figure più rappresentative della Resistenza italiana  la sento dire “…e gli hanno dedicato una piscina?”

                Già, anche questo è il 25 aprile.

Adelaide Gallo

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venerdì 19 aprile 2013

MIO FIGLIO E' AUTISTICO (Libro)


Quello che segue è un estratto di una scheda che ho preparato per "lanciare" il libro "Mio figlio è autistico", libro che spero (soprattutto) si riveli utile. So che molti hanno già letto questa premessa ma, chiaramente, mi rivolgo a chi non l'avesse ancora avuta. Grazie.

Esce “Mio figlio è autistico” (Vannini Editrice), un libro che spero possa contribuire, in particolare, ad allargare la conoscenza di un settore, quello legato alle strutture residenziali che ospitano soggetti autistici, non di rado poco noto non solo al grande pubblico ma persino agli addetti ai lavori.
In esso racconto la mia esperienza di padre di un soggetto autistico inserito in una comunità, i limiti della quale – pur appartenenti a uno standard ahimè molto diffuso sul territorio nazionale - non sono soltanto segnalati nel loro quotidiano manifestarsi, ma affrontati (spero) criticamente attraverso analisi e proposte che vogliono essere, il più possibile, aperte e costruttive. Non si tratta sicuramente di un saggio e tuttavia non mancano i temi affrontati utilizzando anche questa chiave di lettura.
Tecnici, Studiosi e Appassionati tra i più autorevoli, in Italia, nel campo dell’autismo, hanno scelto pubblicamente di appoggiare questo sforzo, consapevoli – quanto me – dell’importanza di avviare una riflessione e un confronto urgenti intorno a problematiche che non di rado sono colpevolmente “dimenticate”.
Questa, e solo questa, è l’ambizione di “Mio figlio è autistico”.
Mi sia consentita un’ultima amichevole considerazione. Credo che nessuna delle persone che mi conosce potrà stupirsi se rivelo di non disporre di alcuno sponsor in grado di consentirmi l’accesso a spazi di forte impatto mediatico. Per tale ragione, con molta umiltà e con una modalità che non fatico a riconoscere come assai poco convenzionale, mi rivolgo a te affinché ti renda – se possibile – promotore/promotrice diretto/a di una promozione la cui ricaduta riguarderà non certo la mia modestissima persona bensì i nostri figli e i loro diritti calpestati.
Se troverai interessante questo libro raccomandalo, allora, ad amici e conoscenti, utilizzando tutti i tuoi contatti, magari attraverso E_mail, Facebook, Twitter… Utilizza il telefono… Utilizza ogni possibilità e opportunità che ti verranno in mente… E “soprattutto” raccomanda agli altri di fare quello che hai appena fatto!
Il libro è regolarmente in vendita ed è disponibile anche nello “store” di Vannini Editrice (www.vanninieditrice.it Sezione Scientifica, nonché, ATTENZIONE, all'indirizzo Facebook https://www.facebook.com/VanniniEditoriaScientifica?fref=ts dove si può avere - fino al 30 aprile - con un uno sconto speciale del 30% sul prezzo di copertina). 
Qualora (ipotesi tutt’altro che da escludere) non lo trovassi in libreria è facile ordinarlo in loco o on-line, senza costi aggiuntivi, e averlo a disposizione in circa tre giorni. E’ bene ricordare che la Vannini, pur essendo - come molti sanno - una tra le case editrici più apprezzate in ambito nazionale nel settore della disabilità e dell’autismo in particolare, resta (a mio parere e lo dico con grande rispetto) un editore di nicchia e tu certo non hai bisogno che io ricordi quanto le vetrine delle librerie delle nostre città abbondino di testi “vespiani” (e non solo) ma, in compenso, difettino di autori e case editrici che provano a scrivere, diciamo così, “d’altro”.
Do fin d’ora la mia disponibilità a partecipare a eventuali occasioni pubbliche di presentazione (convegni, scuole, altro). Resta chiaro che i diritti d’autore sono tutti devoluti in beneficenza: scoprirai a chi.
Grazie molte dell’attenzione: Gianfranco Vitale
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Ma i ristoranti non erano strapieni?


«Compriamo oro dentale». È l’ultima frontiera (si fa per dire) del business e della disperazione al tempo della crisi. La scritta è comparsa recentemente nelle vetrine dei «compro oro» torinesi, negozi in cui è possibile vendere anelli, monete, catenine. Acquistano i «piccoli tesori» di cui molte famiglie si stanno disfando per arrancare meno faticosamente a fine mese. Pagano a peso, in contanti, subito: per molti se non è l’ultima spiaggia poco ci manca, difficile dire di no. 

Sui bilancini dei «compro oro» (sono una cinquantina a Torino) da qualche tempo anche capsule e protesi dentali. Funziona. I clienti sono per lo più anziani o provengono dell’Est Europa, vendono il prezioso metallo di vecchi impianti che hanno sostituito con più economici modelli in resina. Altri ancora fanno cassa con la piccola «eredità» lasciata (o magari recuperata) da un parente passato a miglior vita.  
Pochi carati, e altrettanti euro, buoni comunque per pagarci una bolletta, fare il pieno, saldare la rata del frigo in scadenza. In pochi mesi il giro dell’«oro dentale» ha raggiunto, in alcuni negozi, quasi il venti per cento del fatturato. La crisi, insomma, non guarda in faccia a nessuno, figurarsi in bocca. 
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mercoledì 17 aprile 2013

Obbligato a vivere

Sul New Work Times è stata pubblicata la testimonianza di un prigioniero in cella da 11 anni a Guantanamo, "obbligato a vivere", come egli stesso scrive. Credo che sarebbe dovere di tutti riflettere "anche" su storie come queste, a torto (troppe volte) dimenticate. 


Qui c'è un uomo che pesa 35 chilogrammi. Un altro 44. L'ultima volta io pesavo 60 chilogrammi, ma era un mese fa. Sono in sciopero della fame dal 10 febbraio e ho perso oltre 13 chili.
Non mangerò finché non mi restituiranno la dignità. Sono stato rinchiuso a Guantanamo per 11 anni e tre mesi. Non mi hanno mai accusato formalmente di alcun crimine. Non ho mai avuto un processo.
Avrei potuto essere a casa anni fa - nessuno pensa seriamente che io sia una minaccia - ma sono ancora qua. Anni fa i militari dissero che ero una guardia di Osama bin Laden, ma è un'accusa senza senso, come quelle storie dei film americani che guardavo un tempo. Neanche i militari sembrano crederci più. Ma allo stesso tempo non sembra che gli importi quanto a lungo stia qui.
Nel 2000, quando ero a casa nello Yemen, un amico d'infanzia mi disse che in Afghanistan avrei potuto guadagnare più dei 50 dollari che tiravo su in fabbrica. Così avrei potuto aiutare la mia famiglia. Non avevo mai veramente viaggiato, e non sapevo nulla dell'Afghanistan, ma ho deciso di provare. Ho sbagliato a fidarmi di lui. Non c'era lavoro. Ma quando ho deciso di andarmene non avevo i soldi per prendere un aereo e tornare a casa.
Dopo l'invasione americana del 2001 sono fuggito in Pakistan come tutti gli altri. Mi arrestarono quando chiesi di vedere qualcuno dell'ambasciata dello Yemen, poi mi mandarono a Kandahar e mi misero sul primo aereo per Guantanamo.
Lo scorso mese, il 15 marzo, ero malato nell'ospedale della prigione e mi sono rifiutato di essere alimentato. Una squadra dell'Erf (Extreme Reaction Force, squadre speciali addestrate per rispondere alle situazioni di emergenza nelle carceri) - otto agenti di polizia militare in tenuta antisommossa - hanno fatto irruzione. Mi hanno legato mani e piedi al letto e mi hanno inserito a forza una flebo. Ho passato 26 ore in questo stato, legato al letto. Durante tutto questo tempo non mi hanno permesso di andare al gabinetto: mi hanno inserito un catetere, che era molto doloroso, degradante e non necessario. Non mi hanno neanche permesso di pregare. Non dimenticherò mai la prima volta in cui mi infilarono nel naso il sondino per nutrirmi. Non posso descrivere quanto sia doloroso essere nutrito così. Appena me lo infilarono mi fece vomitare. Avevo i conati, ma non riuscivo a vomitare. Sentivo un dolore incredibile nel petto, in gola e allo stomaco. Non avevo mai provato tanto dolore prima. Non augurerei questa punizione così crudele a nessuno. Sono ancora in regime di alimentazione forzata. Due volte al giorno mi legano a una sedia nella mia cella. Non so mai quando arriveranno. A volte vengono durante la notte, quando sto dormendo.
Ci sono così tanti di noi in sciopero della fame, ora, che non ci sono abbastanza medici in grado di effettuare l'alimentazione forzata. Non succede nulla a intervalli regolari. Nutrono prigionieri tutto il giorno solo per riuscire a stare al passo. Durante un'alimentazione forzata l'infermiera ha spinto il tubo di circa 18 centimetri nel mio stomaco, facendomi male più del solito, perché era di fretta. Ho chiamato l'interprete per chiedere al medico se la procedura era stata svolta correttamente o meno. Era così doloroso che ho pregato che smettessero di nutrirmi. L'infermiera ha rifiutato. Mentre stavano completando l'operazione un po' di "cibo" è caduto sui miei vestiti. Ho chiesto di poterli cambiare, ma la guardia si è rifiutata di lasciarmi quest'ultimo brandello di dignità. Quando vengono a legarmi alla sedia, se mi rifiuto di essere legato, chiamano la squadra Erf. Così ho una scelta: posso esercitare il mio diritto di protestare per la mia detenzione, e essere picchiato, o posso sottomettermi al doloroso trattamento di alimentazione forzata.
L'unica ragione per cui sono ancora qui è che il presidente Obama si rifiuta di rimandare in Yemen i detenuti. Questo non ha senso. Sono un essere umano, non un passaporto, e merito di essere trattato come tale. Non voglio morire qui, ma fino a quando il presidente Obama e il presidente dello Yemen non faranno qualcosa, questo è quello che rischio ogni giorno. Dov'è il mio governo? Mi sottoporrò a qualsiasi "misura di sicurezza" per tornare a casa, anche se sono del tutto inutili.
Sono pronto a fare tutto ciò che serve per essere libero. Ora ho 35 anni. Tutto quello che voglio è rivedere la mia famiglia e farne una tutta mia.
La situazione ora è disperata. Tutti i detenuti stanno soffrendo profondamente. Almeno 40 persone sono in sciopero della fame. Svengono per lo sfinimento ogni giorno. Io ho vomitato sangue. E non vediamo la fine della nostra prigionia. Rifiutare il cibo e rischiare la vita ogni giorno è la scelta che abbiamo fatto.
Spero solo che, per il dolore che stiamo patendo, gli occhi del mondo guarderanno di nuovo verso Guantanamo prima che sia troppo tardi.
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giovedì 11 aprile 2013

Caro Tiziano...

Tiziano Gabrielli, attraverso la sua testimonianza (vedi link a fondo pagina), pone una serie di domande che obbligano ciascuno di noi a una attenta riflessione. "Ciascuno di noi" vuol dire che la vicenda di cui è protagonista K coinvolge "direttamente", non in modo obliquo intendo, familiari, associazioni, istituzioni, tecnici, quanti - insomma - a vario titolo (chissà se a troppo titolo...) "dicono" di operare nel campo dell'autismo.
La storia di K è emblematica di un modo, colpevolmente superficiale, di gestire la difficile condizione di soggetto autistico. Fa capire come, più o meno inconsciamente, sia possibile favorire l'approdo all'istituzionalizzazione di una persona altrimenti capace, stanti le potenzialità di cui dispone, di godere di opportunità importanti, spendibili in un contesto di vita adeguato.
Personalmente ritengo che a determinare la deriva di K non sia stata, nello specifico, una sorta di "ubriacatura di protagonismo", inscenata da qualcuno... Credo, poco alle cosiddette "responsabilità individuali" (che ci sono ma non possono far dimenticare colpe ben più pesanti). Sono convinto, invece, che ci troviamo dinanzi al fallimento di un "sistema" del quale, piaccia o non piaccia, tutti - a vario titolo - siamo parte. E', insomma, la nostra sconfitta, la sconfitta di tutti, ed è miope non riconoscerlo.

Tante coscienze, troppe coscienze, sono oggi sopite fino a coprire, attraverso una sorta di deplorevole arrendevolezza, ogni cosa che accade (tanto più se non ci coinvolge direttamente). Diventare protagonisti spaventa; è molto più semplice ricercare una posizione defilata, delegare tutto, nascondersi dietro la comoda panacea della complessità dell'autismo, limitarsi alla facile critica indirizzata verso gli altri dimenticando l'arte molto più difficile dell'autocritica.
Ripropongo, qui, testualmente quanto ho scritto in un mio recente post, in risposta a un atteggiamento largamente diffuso:

Una presidente provinciale di Angsa se l'è cavata dicendo "Conosco bene il tuo pensiero, ma continuerò a fare quello che ho sempre fatto?" (è questa, a mio modo di vedere, una grave mancanza di rispetto nei confronti di una platea potenzialmente ampia, alla quale sarebbe stato giusto rappresentare le ragioni del dissenso dalle mie tesi, accompagnandole con la presentazione - ma c'erano? - di proposte alternative). Altri/e mi hanno detto che preferivano tenersi fuori dalla discussione con la motivazione che erano  in conflitto con associazioni affini alla loro (senza rendersi conto che in questo modo cadevano nella stessa spirale di isolamento e settarismo che avevano appena contestato). Altri/e presidenti non mi hanno degnato di una risposta (più importante, evidentemente, è stato presenziare al millesimo convegno nella speranza, perché no?, di un trafiletto a margine, da esporre nell'album di famiglia o nella bacheca dell'associazione...).
Altri/e mi hanno informato che non riuscivano a inviare i commenti che avrebbero scritto (dimenticando che sull'argomento ho pubblicato un post ad hoc e spiegato, anche in cinese, che sarebbe stato comunque possibile farmi avere il loro punto di vista tramite mail). Altri si sono presto allontanati (in pratica tutti quelli che contestano la mancanza di spazi di confronto. Quando hanno capito che, nel suo piccolo, questo blog gli spazi desiderati li aveva messi a disposizione sul serio, si sono immediatamente dileguati... Pronti, ci mancherebbe altro, a lamentarsi alla prossima occasione).
Ci sono stati genitori che mi hanno confessato la paura di essere ricattati (e a nulla è valso il mio tentativo di rassicurali). Qualcuno mi ha promesso che sarebbe intervenuto nelle prossime ore o nei prossimi giorni (non è avvenuto nulla di tutto questo: evidentemente perché trattasi di persone troppo impegnate); qualcun altro mi ha detto di preferire i cosiddetti commenti "vis a vis" (scordandosi di non avere mai aperto bocca in occasione di convegni, assemblee, eventi pubblici). Eccetera eccetera.

Che giudizio dare? Voglio dire: "In cosa queste persone sono legittimate a essere critiche nei confronti del "sistema" di cui invariabilmente denunciano l'arretratezza, le ingiustizie e le contraddizioni, dimenticando che il loro silenzio ne rappresenta la sponda più efficace?

Tornando al caso sollevato da Tiziano, mi chiedo: "Perché non è stato impedito il drammatico precipitare delle condizioni di vita di K? Perché è stato possibile non prevenire, attraverso un corretto approccio abilitativo, un peggioramento affatto scontato, che nessuno ha il diritto di ascrivere, superficialmente, alla cosiddetta gravosità della sindrome?".
Domande, le mie... Non vorrei si pensasse che intendo sovrapporle o aggiungerle ex novo a quelle sollevate da Tiziano. In realtà, come avrete capito,  io penso che le cose di cui stiamo discutendo non accadano per caso ma siano parte di un processo che muove da lontano. Di un modo di pensare e operare che, nella migliore delle ipotesi, definirei anacronistico, fondato sulla delega cieca e assoluta e sulla costante mancanza di verifiche per quanto attiene alla qualità degli interventi proposti.
Questo sistema non può che partorire storie come quelle di K. Chiuso a ogni innovazione non  comprende che alcune alternative sarebbero possibili perché validate da esempi concreti e disponibili a tutti.
A sigillare una tale ottusa blindatura contribuiscono le stesse associazioni operanti nel campo dell'autismo, che recitano un ruolo sempre più marginale e passivo, di mera testimonianza, sopravvivenza e sudditanza, anziché sforzarsi di essere protagoniste del cambiamento e dell'innovazione. Prigioniere, a volte, addirittura di oscuri intrecci che favoriscono i pochi a danno dei molti...

E' evidente che un tale scollamento dalla realtà può solo diventare foriero di scenari sempre più inquietanti  Sta a noi, alla nostra voglia di non rassegnarci, al bisogno di contrastare fino in fondo tutte le oligarchie (se non i monopoli) che a vari livelli  si sono prodotte e riprodotte negli anni, invertire il corso degli eventi.
Ce lo chiedono i tanti K, "istituzionalizzati" e non, che troppi signori impettiti continuano a  non ascoltare, girandosi dall'altra parte e fingendo di non riconoscere il malessere che li circonda.

http://www.scribd.com/doc/134169429/Vuoto-2

http://rapidshare.com/files/437947914/Vuoto%202.pdf
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sabato 6 aprile 2013

Omicidio?

Lui si chiamava Romeo Dionisi, aveva 62 anni, ed era un ex muratore poi diventato un esodato. Lei si chiamava Annamaria Sopranzi, era moglie di Dionisi, aveva 68 anni e viveva con una pensione da  più o meno 500 euro al mese. E poi c’era Giuseppe, 72 anni, fratello di Annamaria.
Romeo, Annamaria e Giuseppe si sono uccisi venerdì mattina a Civitanova Marche.  Romeo e Annamaria  lo hanno fatto impiccandosi uno vicino all’altra perché disperati per la miseria e per gli stenti. Giuseppe lo ha fatto poco dopo, con una corsa verso il porto e un tuffo in mare perché non ha retto alla notizia.
Tre morti, quelle di Civitanova, che non possono essere spiegate ma che casomai pretendono una spiegazione.
Dionisi dopo una vita da muratore era rimasto senza lavoro. In quel limbo di chi non può andare ancora in pensione, non ha i soldi per pagare i contributi obbligatori e non riceve quanto gli spetta dai precedenti datori di lavoro. Così, a 62 anni, si è trovato a vivere della sola pensione della moglie. Una pensione poco più che minima di una artigiana. 500 euro in due dopo una vita di lavoro. Con un affitto da pagare, un lavoro che non si trova più neppure a cercarlo in modo ossessivo tutti i giorni.
Troppi pochi i soldi, e troppe le umiliazioni. Così come troppo umiliante, hanno pensato i due, era chiedere aiuto. Romeo e Annamaria, semplicemente, si vergognavano. Dignità gli imponeva di non chiedere
l’elemosina, motivo per cui hanno scelto di morire.
I coniugi vivevano nello stesso palazzo del presidente del Consiglio comunale di Civitanova. Lui gli aveva suggerito di rivolgersi ai servizi sociali. Offerta “solidale” che ai due deve essere, forse, sembrata uno schiaffo, un’offesa. E offerta comunque declinata.
Fino a venerdì mattina, quando Romeo e Annamaria hanno preparato un biglietto in cui si scusavano con tutti per il loro gesto, lo hanno messo sul cruscotto della loro auto insieme al  numero di telefono della sorella della donna, hanno preso le corde, sono scesi in garage e si sono impiccati. Vicini. E hanno archiviato
così per sempre il problema dell’affitto, del cibo, della miseria.
Alla scena non ha retto il fratello di Annamaria. Quando ha visto i corpi è corso verso il porto e si è buttato in mare. E non è stato ripescato in tempo.
Il resto della storia è dichiarazioni di politici e affini. Tutti scossi, tutti che chiedono di fare qualcosa. Non per loro tre. Romeo e Annamaria non erano “indignati”, e hanno scelto di morire con compostezza. Scusandosi per il disturbo.
Scusandosi per averci obbligato a riflettere.
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giovedì 4 aprile 2013

Assistenza o compensazione all'handicap? di Luciana Bressan

Dopo Tiziano e Patrizia Gabrielli sono onorato di ospitare un contributo inviato da Luciana Bressan, dal titolo "Assistenza o compensazione dell’handicap?".

Trovo che Luciana, già Ricercatrice all’Università Statale di Milano, docente di  Glottodidattica e Linguistica comparata, sia una delle persone intellettualmente più lucide tra quante sono impegnate nel campo dell'autismo.
Innumerevoli le sue pubblicazioni e i suoi interventi. Ha collaborato in particolare con Angsa Lombardia ma è stata, ed è tuttora, apprezzata interlocutrice in campo scientifico.
Madre di una ragazza autistica vive da qualche anno a Parigi.

Il documento è, come sempre, scaricabile a uno dei seguenti link

http://www.scribd.com/doc/134028894/Assistenza


http://rapidshare.com/files/439745625/Assistenza.pdf





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martedì 2 aprile 2013

GUIDA ALLE AGEVOLAZIONI FISCALI

Allego la Guida alle agevolazioni fiscali per i disabili, a cura dell'Agenzia delle Entrate, aggiornata a marzo 2013. E' possibile scaricarla al seguente link:

http://rapidshare.com/files/3163648995/guida%20agevolazioni%20fiscali%202013.pdf
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2 Aprile

Ricevo e pubblico volentieri, da Angsa Trentino Alto Adige (Tiziano Gabrielli è una delle persone in assoluto meno convenzionali e retoriche tra quante operano in questo campo), il documento allegato al seguente link, dedicato ai temi della Giornata Mondiale per la consapevolezza dell'Autismo, che si celebra oggi.

Nella speranza che non si tratti di una ricorrenza solo simbolica,  ma che effettivamente conduca a una profonda riflessione sulla complessità delle problematiche connesse a questa sindrome, vale la pena augurare (e augurarsi), di cuore, un  "buon 2 Aprile"!

http://www.scribd.com/doc/133559995/A-Ngs-a-Trentino
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